Hai mai sentito parlare del Bullwhip Effect, anche detto in italiano effetto frusta? E' quello che molto verosimilmente stiamo affrontando a livello economico e che è stato recentemente portato all'attenzione da Michael Burry.
Quello a cui stiamo assistendo è un primo segnale di rallentamento dell'inflazione, che dopo aver toccato il 9.1% a giugno 2022, a luglio è scesa leggermente all'8.5 %.
In altre parole, significa che un anno fa sono stati presi i dati, un paniere di beni e servizi, e sono stati confrontati con il prezzo degli stessi beni e servizi ad oggi e l'incremento di prezzo è stato dell'8.5%. Questo è uno dei modi per misurare l'inflazione, cioè anno su anno.
Quando Biden ha dichiarato che a luglio l'economia aveva visto uno 0% di inflazione, è successo un pandemonio. Molte persone, infatti, non capivano se l'inflazione fosse allo 0 o all'8.5%. In realtà, Biden ha un po' politicizzato la notizia tirando l'acqua al suo mulino e mostrando un dato di inflazione mensile, cioè il confronto tra i prezzi di luglio con quelli di giugno. Ed in questo orizzonte temporale, cioè da giugno a luglio, negli Stati Uniti non c'è stato un aumento dell'inflazione, in altre parole i prezzi non sono aumentati.
Però solitamente l'inflazione viene misurata anno su anno. Per questo motivo, per comprendere qual è l'attuale situazione dell'inflazione, è molto più utile guardare appunto i dati annualizzati. Infatti, mese su mese potremo avere anche dei falsi segnali, come ci sono già stati ad aprile quando c'era stata una prima riduzione dell'inflazione per poi aumentare ulteriormente a maggio.
Ciò vuol dire che da aprile a maggio c'è stato anche un aumento mese su mese. L'obiettivo di queste precisazioni è quello di capire come interpretare i dati. Sul piano politico, Biden, che in questo momento si sta avvicinando alle elezioni, ama dipingere una situazione che potenzialmente è migliore di quella che stiamo vivendo.
Questo perché ha un conflitto d'interesse nell'abbellire lo scenario con lo scopo di farsi rieleggere. D'altra parte, noi vogliamo sapere invece quali sono i dati reali, cioè quanto il nostro potere d'acquisto è stato diluito.
Non ci interessa mese su mese, perché lo confronteremo con il rendimento che il nostro portafoglio ha avuto anno su anno. In questo modo, potremmo ottenere il rendimento in termini reali del nostro portafoglio di investimento.
Spostandoci in Europa, vediamo che purtroppo è qualche mese indietro rispetto agli Stati Uniti e sta vedendo un nuovo massimo di inflazione. Rispetto agli stati uniti, l'Europa era 2-3 mesi indietro in termini di crescita dell'inflazione e di sviluppo economico ed è arrivata a battere purtroppo gli Stati Uniti con un tasso d'inflazione al 9.8%. Leggendo questi dati ci si chiede come sia possibile che la BCE abbia tassi l'inflazione all'8.5%, quando l'inflazione per l'area euro è all'8.9%.
Ciò significa che abbiamo dei tassi di interesse reali, cioè al netto dell'inflazione, negativi di oltre 8 punti percentuali. Quindi ci chiediamo, se la BCE stia rispettando il suo mandato di mantenere l'inflazione al 2%. La risposta è decisamente negativa perché è palesemente molto più in ritardo di quanto non lo sia la FED.
Questo perché ad oggi siamo già arrivati ad un tasso di interesse di circa il 2.5% e l'inflazione è sempre all'8% e rotti. Quindi probabilmente altro dovrà essere fatto da parte della FED per poter contenere l'inflazione, ma almeno ha iniziato prima questo processo di normalizzazione. Questi non sono errori da parte delle banche centrali, sono politiche finalizzate a diluire il debito pubblico che è esploso con il Covid.
Purtroppo per tutti, ma soprattutto per chi ha profili di rischio bassi e che si affida l'obbligazionario, vedremo sempre tassi di interesse negativi. Dovremmo riuscire a tenere sotto controllo il debito pubblico e, l'unico modo per farlo, è o con l'austerity, cioè tagliando le spese, o diluendo il valore del debito.
Prima di passare alla tesi di Michael Burry, bisogna approfondire degli spunti interessanti relativi all'inflazione. Il primo riguarda il fatto che questa ondata di inflazione sia da costi e non da domanda, e questo potrebbe essere una giustificazione dell'azione prudente di BCE di FED. Quindi, in altre parole, una giustificazione per essersi mosse così in ritardo.
Questo grafico è molto interessante perché confronta l'inflazione a livello di area euro con quella degli Stati Uniti, non solo a livello di numero aggregato, quindi il 9 e rotti circa che vediamo per gli Stati Uniti è ormai il 9 che vediamo anche nell'Europa, ma anche quali sono i panieri che hanno visto un maggiore incremento dei prezzi.
Così da capire appunto che tipo di inflazione stiamo vedendo. Quello che si può notare è il maggiore peso che ha l'energia in termini di responsabilità dell'incremento dei prezzi, che per l'area euro è un 4.3% dei nove totali, mentre per gli Stati Uniti è solo un 3%. Quello che emerge da questo grafico è che negli Stati Uniti vediamo un'inflazione, come approfondiremo anche dalla tesi di Michael Burry, che è spinta da porte-domanda, cioè dal desiderio che hanno le persone di acquistare beni e servizi, mentre in Europa assistiamo ad un'inflazione che è molto più sostenuta e causata da un incremento spropositato dell'energia.
Quindi, l'inflazione è arrivata ad essere attorno al 9% sia negli Stati Uniti che in Europa, ma se l'inflazione è l'aumento dei prezzi con una conseguente riduzione del potere d'acquisto, come mai i mercati attendono i dati pubblicati sull'inflazione?
Se i prezzi sono sotto gli occhi di tutti e del tutto trasparenti e pubblici, perché c'è bisogno che qualcuno dica quanto sia effettivamente stata l'inflazione nei mesi precedenti? Non dovrebbe essere tutto perfettamente scontato osservando i prezzi giorno per giorno?
I mercati hanno la capacità di interpretare le informazioni a disposizione del pubblico, ma il punto è che, sì le informazioni sono a disposizione di tutti, ma si tratta di interpretare il futuro in termini di evoluzione dell'inflazione o di impatto che l'inflazione avrà sui consumi futuri.
Quindi ci sono idee differenti, ma non è detto che queste idee siano corrette. Infatti analizzando il comportamento del mercato obbligazionario, emerge come i mercati stiano scontando un ritorno dell'inflazione intorno al 2.5%. Questa è una stima potenzialmente sbagliata perché per poter arrivare a un 2.5% dovremmo vedere spinte deflattive cioè di riduzione dei prezzi molto forti che non è quello cui stiamo assistendo in questo momento. A luglio, infatti, abbiamo visto un aumento dello 0% dell'inflazione mese su mese, ma per poter portare l'inflazione al 2.5% annualizzato, dovremmo avere dei contributi negativi, c'è una riduzione mese su mese molto importante.
E' quello che Bank of America ha provato a stimare in questo grafico.
Se l'inflazione rimanesse allo 0% di crescita mese su mese, l'inflazione annualizzata scenderebbe al 6.3%. Siamo ancora ben lontani dal 2% che sarebbe da mandato della BCE o dal 2.5% che stanno scontando i mercati.
Se invece l'inflazione continuasse a salire dello 0.6% mese su mese, annualizzata continueremo a rimanere attorno al 10%. E' quindi dannatamente difficile fare stime relativamente all'evoluzione dell'inflazione, perché le variabili sono tantissime.
Approfondiamo, a questo punto, la tesi d'investimento di Michael Burry. Occorre ragionare per scenari, perché come è evidente da questi grafici, non esiste un solo scenario relativo all'evoluzione dell'inflazione oppure relativo all'andamento dei mercati finanziari. Ne esistono tanti, alcuni più probabili e alcuni meno probabili e dobbiamo posizionare il nostro portafoglio in relazione a più scenari possibili, perché nessuno può prevedere il futuro.
Un investitore che vuole investire in modo responsabile e consapevole il proprio denaro deve ragionare quindi per scenari. A tal proposito bisogna approfondire i ragionamenti che ha condiviso su Twitter Michael Burry, un famoso investitore che è diventato famoso anche perché era il protagonista del film La Grande Scommessa.
Michael Burry ha recentemente twittato riguardo il Bullwhip Effect, effetto frusta, che dovrebbe essere responsabile di forze deflazionistiche, cioè di forze che portano ad una riduzione dell'inflazione e che si dovrebbero manifestare nella seconda metà dell'anno. Ma che cos'è il Bullwhip Effect, in italiano detto effetto frusta o effetto forrester?
Il Bullwhip Effect indica un aumento della variabilità della domanda man mano che ci si allontana dal mercato finale e si risale la catena di distribuzione. Per poter capire questo fenomeno, bisogna ripercorrere che cosa è successo a partire dal 2020.
Nel 2020, durante il lockdown, abbiamo visto una contrazione della domanda poiché nessuno o pochi riuscivano a consumare quanto avrebbero voluto. Di conseguenza l'offerta, cioè l'industria che produce i beni e servizi che i consumatori non potevano più consumare, ha dovuto ridurre la produzione. Nel 2020 gli utili delle aziende sono scesi molto perché c'erano meno ordini e quindi meno fatturato.
L'offerta si è dovuta adeguare ad una domanda di beni e servizi che si era drasticamente ridotta e questo è un effetto disinflattivo, cioè di riduzione dell'inflazione. In altre parole, se nessuno vuole comprare un bene o un servizio, le aziende che producono quel bene o servizio hanno meno domanda e meno richieste e quindi per poter vendere il magazzino devono abbassare i prezzi.
Che cosa è successo dopo? Tra la fine del 2020 e l'inizio del 2021 c'è stato un forte rimbalzo della domanda che è ripartita in modo importante. Ma l'offerta di beni e servizi non è riuscita a tenere il passo. Basti pensare ai problemi relativi al traffico aereo che ci sono stati negli ultimi mesi in tutta Europa ma anche negli Stati Uniti. Molte persone hanno passato diverse notti in aeroporto perché il loro volo era stato cancellato o perché i loro bagagli erano stati persi.
Insomma, disagi di vario tipo che si sono realizzati, in modo comprensibile, perché nel 2020 non viaggiava più nessuno e, di conseguenza, compagnie aeree e aeroporti hanno dovuto disfarsi di una capacità produttiva in termini di dipendenti, ad esempio facendo dei licenziamenti. Quando è ripartita la domanda e molta gente ha ricominciato a viaggiare, non c'era più la possibilità di erogare un servizio nelle quantità richieste dalla domanda stessa. Lo stesso fenomeno ha interessato anche altri settori. Ad esempio, per l'acquisto di una bici nuova i tempi d'attesa si aggiravano attorno ai 12-18, mesi, che corrispondo ai tempi d'attesa che di solito sono associati all'ordine di una supersportiva.
Il perché di questi ritardi è spiegato, appunto, dal Bullwhip Effect: un grande rimbalzo della domanda dopo i minimi del 2020 e la difficoltà dell'offerta di adeguarsi. E questo ha portato all'inflazione.
Dopotutto, se un'azienda riesce a produrre ad esempio 100 biciclette al mese e se la domanda è per 150 biciclette al mese, qualcuno dovrà pagare di più perché l'offerta è inferiore alla domanda. Chiaramente questo ha portato ad un incremento dei prezzi molto importante. Quindi sì, le banche centrali hanno stampato secchiate di soldi mettendoli in tasca alle persone, soprattutto negli Stati Uniti con lo stimulus jack, ma l'aumento dell'inflazione di fatto deriva da un aumento dei consumi.
Ma che cosa succede dopo questa fase inflazionistica?
Succede che l'offerta si adegua, cioè la difficoltà di riuscire a erogare un servizio o produrre un bene viene risolta assumendo nuove persone e aumentando la capacità produttiva. In questo modo si arriva alla fase successiva in cui la domanda si stabilizza e torna ad essere normale, secondo una linea tendenziale.
Ma l'offerta è cresciuta enormemente e quindi ci troviamo di fronte a uno scenario molto simile a quello di metà del 2020, in cui l'offerta era molto superiore alla domanda e questo porta ad un'ulteriore fase disinflattiva. Ciò accade perché adesso le aziende hanno i magazzini pieni di prodotti, ma la domanda si è ridotta, e per riuscire a vendere questi prodotti devono abbassare i prezzi.
Negli Stati Uniti questa situazione è già molto evidente e di dominio pubblico. Infatti, un dipendente di Walmart ha condiviso le foto in cui si vede un magazzino straripante di merce che non viene venduta. Il magazzino di Walmart è cresciuto del 32% nell'ultimo trimestre e questa notizia non è stata presa particolarmente bene dai mercati perché appunto dover smaltire un magazzino significa potenzialmente dover vendere in perdita. Questo perché nel magazzino c'è troppo materiale e non c'è più una domanda che lo sostenga e che lo giustifichi e per questo bisogna iniziare a liquidare, fondamentalmente attraverso saldi o iniziative commerciali. Anche Target, che è un competitor di Walmart, ha avuto lo stesso problema.
Quando Target ha pubblicato nel primo trimestre dell'anno queste notizie, ha visto un crollo delle sue quotazioni, stesso crollo avuto anche da Walmart. Secondo Michael Burry, assistiamo al passaggio dalla fase inflattiva alla fase disinflattiva, un po' per via dell'aumento dei tassi d'interesse e del raffreddamento della domanda da parte delle banche centrali, un po' per ragioni economiche giustificate appunto dell'effetto frusta. Vari indicatori confermano questa tesi. Il primo di questi è il Baltic Dry Index che indica il costo che ha spostare un container di merce tramite nave in giro per il mondo. Nel 2021 questo indice aveva raggiunto un picco incredibile perché c'era tanta domanda.
E' facile immaginare da dove si muovono questi container, cioè prevalentemente dalla Cina ai paesi sviluppati. Anche chi faceva acquisti importanti doveva aspettare tantissimo affinché la merce arrivasse. Di solito, in condizioni normali, un container dalla Cina all'Europa impiega un mese ad arrivare, ma nel 2021 i tempi di consegna ammontavano a sei mesi. A questi si aggiungevano i tempi di produzione della merce e di conseguenza, oltre esserci un impatto sul costo delle materie prime, le aziende hanno dovuto gestire anche un aumento dei costi dei trasporti, proprio perché l'offerta di spazio, in termini di container, era dannatamente più contenuta rispetto alla domanda.
Quello a cui assistiamo oggi è un profondo ridimensionamento e vediamo che siamo molto più in linea con dati storici. Conferma di queste tesi le troviamo anche da altri indicatori, come il Global Supply Chain Pressure, cioè la pressione sulla catena di fornitura. E' un indicatore un po' complesso che però ci conferma un contenimento, una riduzione della pressione sulla catena di fornitura. Altre conferme di questa tesi si trovano ad esempio nel mercato dell'auto. Nel 2021 e 2022 i prezzi delle auto usate erano aumentati. Molte persone hanno venduto nel 2021 auto acquistate nel 2019, guadagnandoci.
Ed è l'unico caso in cui l'auto è diventata un investimento perché, con l'inchiodata alla catena di fornitura, mancavano i chip per poter completare molte automobili per le più importanti case automobilistiche. Quindi l'usato valeva di più del nuovo perché il nuovo arrivava dopo 12 mesi mentre l'usato è subito disposizione, pagando un extra sul prezzo. Questo ha portato, quindi, ad un incremento verticale dei prezzi dell'usato per le auto che di fatto è già in fase di tracollo. Siamo tornati a valori più bassi delle medie storiche di lungo periodo. Ulteriori conferme si trovano nel costo del legno da costruzione negli Stati Uniti, che nel 2021 era salito alle stelle e quasi triplicato.
Adesso ha ritracciato in modo importante di circa ad 70%. Troviamo ulteriori conferme anche da questo grafico in cui vediamo come materie prime tipicamente industriali, come il rame o il ferro, abbiano già ritracciato. Quello che non sembra ritracciare è il prezzo dell'energia. Questo è associato anche ad altre dinamiche di natura geopolitica, se pensiamo ai problemi sia umanitari che energetici che il conflitto Russia-Ucraina ha scaturito.
Questo è un qualcosa che verosimilmente non si risolverà nel breve periodo, ma che comunque ha un impatto sull'inflazione. Quindi queste sono le forze che agiranno sull'inflazione. Non solo conseguenze delle politiche monetarie ma anche il risultato di una normalizzazione della catena di fornitura che ha subito uno shock molto importante, il più grosso shock immaginabile è quello di un lockdown nel 2020.
E' difficile stabilire quanto tempo servirà per tornare alle condizioni pre-covid. Verosimilmente, facendo una stima, almeno 4 o 5 anni al netto di tematiche energetiche di cui è impossibile stimare l'evoluzione. Il punto è che alcuni di questi fenomeni hanno un effetto inerzia, cioè c'è il rallentamento dell'economia perché aumentano i tassi di interesse. Si tende potenzialmente a ridurre la domanda, che magari si sta già riducendo per via del Bullwhip Effect, che porta ad una riduzione delle materie prime e che quindi potrebbe portare le banche centrali ad avere un atteggiamento più colomba.
Quindi ad aumentare meno i tassi di interesse, perché l'inflazione tenderà a ridursi in modo autonomo. Quello che sarà importante monitorare è l'evoluzione degli utili, che nel primo trimestre sono stati buoni, nel secondo trimestre hanno retto, ma nel terzo e nel quarto sono previsti in contrazione. Ma la vera domanda è di quanto si contrarranno e se a questa contrazione degli utili sarà associata una conferma di scenari recessivi sia a livello europeo che a livello americano. E soprattutto la gravità di una recessione che come abbiamo capito vede posizioni differenti per quanto riguarda gli Stati Uniti e l'America.