Secondo l'INPS, un italiano su 4 guadagna meno del reddito di cittadinanza, che è pari a 780 euro al mese. Secondo alcuni, la soluzione potrebbe essere quella di eliminare il reddito di cittadinanza in modo da poter trovare lavoratori che lavorino per meno di 780 euro al mese.
Ma a questo punto ci chiediamo: come si crea il lavoro in un'economia?
Sicuramente non attraverso un decreto legge. Nel 2018, Luigi Di Maio annunciava l'entrata in vigore del reddito di cittadinanza, cioè una politica di sostegno alle famiglie che parte dall'idea che tutti i cittadini italiani abbiano diritto ad un reddito. Ma il reddito di cittadinanza ha portato a una distorsione del mercato del lavoro perché, innanzitutto, è stato prezzato allo stesso modo a livello nazionale. Se a Milano o in Trentino €780 non sono sufficienti per poter sostenere un stile di vita ragionevole, in altre regioni lo sono assolutamente per sopravvivere. Si tratta di un reddito troppo elevato che nasce per essere un sostegno alle famiglie in difficoltà, ma che in alcuni casi diventa un vero e proprio reddito. A questo punto, occorre fare delle precisazioni, perché il termine "reddito" è, in questo caso, sbagliato.
Il concetto di reddito di cittadinanza deriva infatti dall'idea dell'"universal income" cioè l'idea che ogni cittadino debba avere un income, quindi un'entrata di denaro perché parte di una demografia sviluppata. Quest'idea è tipicamente diffusa nel nord Europa e sta prendendo piede anche negli Stati Uniti. Ma la parola income è ben diversa dalla parola reddito, perché in inglese, sì, significa soldi in entrata, ma in italiano la parola "reddito" è ben diversa dalla parola sostegno. Sicuramente il sostegno alle famiglie in difficoltà con un aiuto monetario è, in una democrazia, di fondamentale importanza.
Riferendosi a questa misura di sostegno con il termine reddito, si rischia di paragonarla automaticamente al reddito da lavoro. Questo è il problema, cioè il fatto che questa è una misura che per alcuni è diventata un vero e proprio reddito. In altre parole, per intere fette della popolazione era diventato un'alternativa al reddito da lavoro.
Ci sono stati problemi anche con la figura del Navigator, una specie di tutor che guida, chi percepisce il reddito di cittadinanza, verso un reinserimento nel mondo del lavoro. In realtà questa figura non ha mai avuto un gran successo, al contrario, è stato da molti considerato un lavoro precario. Tutto ciò è paradossale, se pensiamo al fatto che il Navigator aveva proprio lo scopo di rendere meno precari coloro che ricevevano il reddito di cittadinanza.
Secondo il presidente dell'INPS Tridico, il reddito di cittadinanza e la NASpI, cioè l'indennità mensile di disoccupazione, non incoraggiano il rifiuto del lavoro, infatti soltanto un terzo dei proprietari del reddito cittadinanza è occupabile, gli altri sono disabili, minorenni e persone che non hanno mai lavorato. La vera sfida, a detta di Tridico, è quella di aumentare i salari. Si tratta, però, di una considerazione totalmente priva di consistenza economica. E' ovvio che per disabili o persone che hanno difficoltà a lavorare, un aiuto economico sia indiscutibile. Diverso è il caso del sostegno ai minorenni che possono essere aiutati dai genitori. Ma l'attenzione deve essere spostata in particolare sulle persone che non hanno mai lavorato. Su queste ultime, afferma Tridico, si dovrebbe investire in termini di inclusione e di formazione, spesso anche di base, visto che parliamo di persone poco scolarizzate.
Ma allora il problema sono i redditi o il fatto che l'offerta di persone sul mercato del lavoro è troppo scadente?
In altre parole, abbiamo delle persone che non sono scolarizzate e che non sono attraenti per il mercato del lavoro. Esiste, cioè, una categoria di persone chiamata "NEET", acronimo di "Not Engaged in Education or Training", quindi persone che non stanno studiando, non stanno frequentando l'università, non stanno lavorando, e, in generale, non stanno facendo alcun tipo di percorso formativo magari professionalizzante. Questa rappresenta una delle più gravi emergenze all'interno del mondo del lavoro. I NEET in Italia sono i giovani tra i 15 e 34 anni che non studiano, non lavorano e non fanno formazione. Si tratta di un italiano su quattro e, con questi dati, è facile affermare che ci posizioniamo tra i primi posti a livello europeo. Il vero problema non è quindi aiutare persone che sono in difficoltà e che temporaneamente non possono lavorare o hanno perso il lavoro, perché questo è Welfare indispensabile in una democrazia. Il punto è dare un reddito a persone che non fanno niente per evitare di avere questo aiuto.
Quindi si è verificata una vera e propria distorsione del mercato del lavoro con un eccesso di welfare e un eccesso di aiuto poco condizionato ad un vero impegno da parte della persona nel ritornare sulla strada giusta, quindi nel tornare a cercare un'occupazione o formarsi per essere più attraente sul mercato.
Bisogna ammettere che in Italia abbiamo una particolare predisposizione ad avere scarso senso civico e a truffare lo stato. Quindi, molto spesso tutti questi aiuti sono strumenti troppo facili per malintenzionati che vogliono sfruttare il sistema. E' molto facile, purtroppo, trovare persone che lavorano in nero e prendono il reddito di cittadinanza. Reddito che è costato 20 miliardi di euro circa ed è stato pagato con i soldi della collettività. Non solo è stato pagato con il debito pubblico, ma il debito pubblico è stato fatto proprio per poter pagare il reddito di cittadinanza. Sappiamo, d'altronde, che l'Italia è sempre in deficit.
A livello politico, bisogna stare molto attenti a finanziare iniziative di questo tipo, che hanno causato danni pari ad un ammontare di 7 miliardi di euro. Si tratta di truffe effettuate ai danni dello stato, ad esempio, per l'ecobonus o per il bonus facciata. Tridico ha affermato che il problema dell'Italia sono i salari troppo bassi, ma non commenta il fatto che abbiamo il cuneo fiscale tra i più alti dei paesi Ocse: 46.5% nel 2021.
Da un lato abbiamo gli stipendi, cioè il netto che il lavoratore guadagna lavorando per per un'azienda, dall’altro abbiamo il costo netto, che si riferisce a quanto effettivamente il lavoratore costa all'azienda e che viene chiamato costo aziendale del personale. E la differenza tra i due costi, il cuneo fiscale, è elevatissima. Quindi quando un imprenditore deve assumere una persona non pagherà solo i 1.500-2.000 euro al mese, cioè il denaro in relazione al valore che questa persona ha sul mercato del lavoro, bensì un 50-70% in più. Questo proprio a causa del cuneo fiscale. E il cuneo fiscale italiano, che è pari al 46.5% quando la media dei paesi Ocse è del 36.6%, comprende un 15.3% di imposte sui redditi (la media dei paesi Ocse è del 13%), un 7.2% di contributi a carico del lavoratore (la media dei paesi Ocse è all'82%), il 24% dei contributi a carico del datore del posto di lavoro (la media dei paesi Ocse è del 13.5%).
Ed è anche per questo che in Italia crescono le partite IVA. Perché è a pari costo che un'azienda o un professionista può sostenere il cuneo fiscale per assumere una persona sul lavoro. Il cuneo fiscale è talmente elevato che molte aziende preferiscono assumere persone con partita IVA in modo da poterle pagare il 30% in più, perché non possono sostenere costi più alti di questo.
In un'azienda di servizi fatta di persone, un imprenditore ha principalmente l'obiettivo di trovare talenti e farli crescere e trovare il modo valorizzare il più possibile le loro competenze così che questi non vadano a lavorare altrove. Il mercato del lavoro è un mercato, quindi l'imprenditore cercherà sempre di tenere il più vicino a sé persone che hanno un valore sul mercato, trovando allo stesso tempo il compromesso più accettabile per quelle che sono le condizioni del lavoro, insostenibili a livello di cuneo fiscale. In altre parole, il talento verrà sempre pagato. Il problema è che in Italia abbiamo un costo del lavoro che è esorbitante in termini di cuneo fiscale e abbiamo una marea di gente che non ha valore sul mercato del lavoro perché non ha competenze spendibili o che vengono ricercate dalle aziende, come nel caso dei NEET.
Ma siamo davvero sicuri di voler sostenere con le finanze pubbliche persone che non studiano e non fanno niente per essere più appetibili sul mercato del lavoro?
Questo non ha nulla a che fare col sostenere persone in difficoltà, ma ha molto a che fare con un assistenzialismo che in alcun modo è coerente con le richieste del mercato del lavoro. Siamo in piena propaganda elettorale e tutti parlano delle loro soluzioni a riguardo, la maggior parte delle quali sono ad ulteriore deficit, quindi finanziate con ulteriore debito pubblico. Nessuno parla di consistenza finanziaria ed economica delle decisioni della politica.
Ma arriviamo alla vera domanda: Come si crea lavoro in una nazione? O, in altre parole, come si riduce la disoccupazione?
Un documento del sito economico-selp.org è molto interessante ed utile per capire l'effetto della politica sul mercato del lavoro. Il mercato del lavoro può essere stimolato dal punto di vista della domanda "Demand Side" o dal punto di vista dell'offerta, "Supply Side".
L'offerta nel mercato del lavoro è rappresentata dalle persone che si mettono sul mercato. A quel punto la domanda, cioè il datore di lavoro, o potenziale datore di lavoro, chiede di fissare un colloquio per sapere cosa quel potenziale dipendente potrà o saprà offrire all'azienda.
Quindi dal punto di vista della Supply Side, come si può ridurre la disoccupazione e quindi stimolare l'occupazione?
Al primo punto c'è l'educazione e la formazione. Ed è proprio quello che manca ai NEET per risolvere l'immobilità occupazionale. Se non si è in grado di svolgere una determinata attività, perché non si hanno le giuste competenze, la miglior soluzione è quella di investire in corsi finalizzati ad acquisire quelle determinate competenze. A questo punto è possibile vendere le nuove competenze acquisite ad un prezzo più alto sul mercato del lavoro. Un altro modo per stimolare l'offerta è dare dei sussidi geografici per aiutare i lavoratori e le aziende a spostarsi. Ad esempio la CPC è una famosa azienda che opera nel settore Automotive in Italia e che sta facendo uno sviluppo in una zona limitrofa a Modena e sta investendo diverse centinaia di milioni di euro per aumentare i servizi offerti ad aziende come Ferrari, Lamborghini.. Questo porterà ad almeno 500 nuove assunzioni e gioverà al mercato del lavoro di Modena e, di conseguenza, al mercato immobiliare. Perché se ci sono persone che si trasferiscono a Modena per lavorare, il settore immobiliare ne beneficia. Un ulteriore modo è quello di ridurre la regolamentazione del mercato.
Ciò significa dare meno, ovviamente, ai lavoratori. Più diritti diamo ai lavoratori e più il mercato è regolamentato, più è difficile per un'azienda riuscire a rispettare quelle regolamentazioni. Di conseguenza, per un'azienda è più difficile assumere. È ovvio che ci sono delle condizioni necessarie che devono essere garantite, e dei diritti che non devono essere in alcun modo messi in discussione. Ma, allo stesso tempo, più si regolamenta il mercato del lavoro, più le aziende potrebbero considerare tale mercato come insostenibile. La difficoltà della politica sta nel fatto che da un lato si devono garantire diritti ai lavoratori, dall'altro però più questi diritti vengono garantiti, più rendiamo costoso il lavoro per le aziende. Questo ha un effetto di disincentivo
all'occupazione, perché le aziende, in un'era di globalizzazione, potrebbero decidere di produrre alcuni servizi all'estero. Un esempio sono i call center che adesso molto spesso hanno dipendenti provenienti dai paesi dell'Est. Un altro modo per stimolare l'offerta di lavoro è dare sussidi all'occupazione, cosa che la politica sta cercando di fare in questo periodo. Dare uno stimolo alle aziende per assumere dipendenti in modo indeterminato che vuol dire, quindi, stimolare un'occupazione di periodo più lungo che dia stabilità alle aziende. L'ultimo modo per stimolare la domanda riguarda politiche non particolarmente apprezzate o necessariamente condivisibili. Cioè quella che si basa sul togliere il minimum wage, cioè lo stipendio minimo, e ridurre il potere dei sindacati, quindi la capacità che hanno i lavoratori di organizzarsi e far valere i propri diritti.
Chiaramente questo stimola l'occupazione, ma allo stesso tempo vuol dire anche tornare indietro di secoli sui diritti acquisiti dai lavoratori. Più vincoli vengono messi sul mercato del lavoro, più le aziende, in un'era di globalizzazione, sono indecise se assumere o meno. Non è un mistero che diverse aziende, durante le ferie estive, abbiano chiuso gli stabilimenti in Europa o in Italia per riaprirle in est Europa. Alla base delle loro valutazioni c'erano ragionamenti di questo tipo. Ovviamente, per quanto i lavoratori debbano essere difesi e sostenuti, uno stato non può essere così disallineato in termini di offerta del mercato del lavoro rispetto a tutte le altre nazioni che lo circondano, perché altrimenti non attrae nuovi investimenti che invece possono portare sviluppo occupazionale.
Ma che cosa si può fare per stimolare la domanda di lavoro?
Chiaramente ridurre i tassi di interesse. Se si riducono i tassi di interesse, in una banca centrale gli investimenti costano meno, quindi le aziende possono fare investimenti. Questo perché il denaro costa meno e quindi i business plan tornano più facilmente. Oppure posso adottare politiche fiscali quindi ridurre le tasse. Ma se riducessimo il cuneo fiscale, qualche azienda assumerebbe un paio di persone in più oppure diminuirebbe il tasso di cambio, perché i servizi e i beni diventano più competitivi sul mercato globale. Ovviamente sul livello della domanda operano le banche centrali. Ecco perché le banche centrali, come la Fed, ha l'obiettivo di raggiungere la piena occupazione, perché può incidere direttamente sul mercato del lavoro. Invece sulla supply side lavora il governo e la politica.
In conclusione, possiamo affermare che il lavoro non si crea per decreto.
Si rischia molto spesso di esagerare con gli incentivi e con strumenti a sostegno di una popolazione, che magari non si merita quei sostegni perché non ha reali necessità, ma semplicemente ha scelto di essere in una condizione che non ha fatto nulla per evitare.
Non dobbiamo però dimenticarci che alla base di qualunque azienda c'è l'investimento sulle risorse. Se le persone possiedono un talento o delle competenze ricercate dal mercato, non esiste imprenditore o azienda che non le voglia assumere nel suo team di lavoro. Questo nonostante il problema della mancanza di meritocrazia a livello statale. Ma nell'imprenditoria il talento viene premiato e esiste la meritocrazia, quantomeno nelle aziende che crescono in realtà parastatali.